Caro Ivan,
ti scrivo solo ora perché solo ora ho scoperto di poterlo fare per qualcuno, per Laura, di cui mi hai parlato di sfuggita l’ultima volta che ci siamo visti.
Del resto, a te solo ho già dedicato tanti innumerevoli pensieri. Il giorno che Chiara mi ha dato la notizia ho pensato di smettere di fumare, così sarei stato costretto a pensarti almeno una decina di volte al giorno. Non so perché avevo paura di dimenticarti. Ma forse era solo paura di perderti per davvero, cosa che ancora mi sembra impossibile.
Mi dissi che avevi trovato Laura, ne rimasi toccato. Anche se avevo già capito quanto eri buono, continuavo a sorprendermi. Mi chiamavi pischello, ma fin dal primo giorno mi hai trattato come un amico, un pari, anche tra le stanze grigie del Parlamento dove è difficile saltare le gerarchie. Quella confidenza mi toccò il cuore. In fine dei conti ci conoscevamo da poco, sapevi che ti ammiravo, sapevi che volevo qualcosa da te, che mi facessi scrivere. Ma non mi hai mai voltato le spalle infastidito, come sarebbe stato normale. Non mi hai mai guardato dall’alto in basso. Timidamente ti avevo mandato un articolo per sapere cosa ne pensavi, corredato di frasi del genere “se non hai tempo capisco, non ti preoccupare”. Non ricevetti risposta. Ma la volta dopo che ti ho visto, passate due settimane, quando pensavo te ne fossi completamente dimenticato, mi hai chiamato nel tuo ufficio e mi hai consegnato l’articolo corretto riga per riga, con suggerimenti e rimproveri. Una lectio magistralis di mezz’ora. Chi te l’ha fatto fare? Proprio in quel periodo in cui venir su a Bruxelles ti faceva vomitare. E anche l’articolo poi era noioso.
Il tuo dirmi di Laura, le tue pacche sulle spalle, le prese per il culo erano tutti atti di pura bontà, bontà che disperdevi ovunque andavi. Ti ricordo spesso insieme a Johnatan. Anche lui, come me, un po’ disadattato in quell’ambiente, ti ha visto come un gigante buono e paterno. Sei per sempre il nostro BigIvan.
Nicola
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