Ivan era speciale, non c’è bisogno che lo dica a voi, che lo conoscevate meglio di me.
Anche se poi nessuno, forse, conosceva bene Ivan. Era troppo complicato, troppo imprevedibile.
Era coraggioso, era anticonformista, era un idealista, aveva dei grandi valori.
Ivan non ha mai creduto che i grandi valori, le idee, fossero merce. Che si potessero comprare già pronti, che si potessero prendere in eredità, trasportare da un libro.
Cambiare, negoziare, congelare. Non ha mai pensato neppure che i valori fossero sacri. Credo che Ivan
pensasse che niente è sacro. Non sopportava il sacro.
Ivan pensava che le idee e i valori vengono da noi, dalla nostra capacità di pensare, di discutere, di guardare la realtà. Servono a non vivere da soli, servono a pensare alla collettività, al
sociale, al futuro. Servono a respirare, ad amare.
Cosa era per Ivan il sociale, il futuro?
Credo che per lui fosse la fratellanza, la sorellanza. Gli esseri umani, gli animali, le piante, il pianeta, le persone che verranno ad abitare la terra nei secoli venturi. Il sociale, il futuro, erano una cosa sola: come salvare la vita di tutti.
Ivan amava il nuovo. A lui piaceva inventare, cercare, sperimentare.
Non gli piaceva ripetere: ripetere parole, immagini, schemi, gerghi. Non amava i luoghi chiusi, i pensieri chiusi, le cupezze, gli alambicchi. Credo che Ivan amasse soprattutto vivere, e non nascondersi dietro la vita, e non gettare via la vita, nei calcoli, nelle certezze degli altri, nei percorsi obbligati.
Però Ivan era pieno di certezze sue. Non lasciava che fossero rose dal dubbio.
Le difendeva, le rafforzava con la sua passione, con la sua irruenza,
con la polemica. Ma anche con quella dote che lo rendeva davvero amabile, dolcissimo:
l’ironia, la grande ironia, la risata, lo sberleffo, il sorriso.
L’ho conosciuto quattro anni fa. Non è stato facile il rapporto con lui. Ivan non era una persona facile. Era irascibile, era burbero, gli piaceva avere ragione. Non era accomodante. Ho litigato tante volte con Ivan. Non ho litigato quasi mai con nessuno, in redazione, Ivan è uno dei pochi.
Perché lui non ti lasciava scampo, non ti permetteva la mediazione, o l’aggiramento del problema, o il rinvio. Voleva che si affrontasse, che emergessero i dissensi, che si stabilisse chi aveva ragione e chi torto, voleva convincerti. E ti diceva in faccia tutte le cose che non sopportava. Non sopportava
il veteromarxismo di alcuni di noi, per esempio, la vecchiezza operaista, non sopportava la poca passione per l’ambiente, non sopportava il politicismo, lo slang dei palazzi, quella visione del mondo che considera i partiti la chiave dell’esistenza, che considera l”economia il motore di tutto, la padrona delle idee non sopportava il sessantottismo, la subalternità ai maestri, ai
filosofi, ai mostri sacri, ai leader. Non sopportava il manicheismo: lì il giusto, lì lo sbagliato. Lui preferiva verificare, controllare.
Ivan adorava il giornalismo. Era ammalato di giornalismo.
Molti di noi lo sono. E come tutti quelli che sono affetti da questa malattia, Ivan odiava
anche il giornalismo. Non ammetteva la burocrazia giornalistica, la frase fatta, il copia
incolla, la trascrizione dell’agenzia. Aveva i suoi miti: Il viaggio, il reportage, il giornalismo dal fronte. Sognava di poter fare il corrispondete dal medio oriente. Stava stretto a Liberazione. Però credo che amasse anche questo giornale: le sue grandi libertà, le sue discussioni, il suo
collettivo. Tante cose di lui non le ho mai capite. Le persone ricche, forti, passionali, è difficile capirle bene. Ho capito che lavorare senza di lui sarà una impresa titanica.
Era unico, cioè era insostituibile. Vedete: non è una frase fatta. E’ così: non lo si può sostituire.
Daniele, scherzando, canzonadolo, lo chiamava il gioiellino di bari vecchia. Diceva che era come Cassano: fuoriclasse e impossibile da disciplinare. Non c’è nessuno, tra di noi, che abbia la stessa forza di spirito critico, la stessa testardaggine, la stessa capacità di lottare per il
suo punto di vista, la stessa passione. E poi non c’è nessuno che abbia il suo sorriso, la sua dolcezza di bambino.
Vorrei solo un momento rivolgermi a Laura, perché in questi giorni ho
pensato tantissimo a lei, al suo dolore e alla sua tenerezza.
Tutti noi al giornale, Laura, abbiamo pensato molto a te, abbiamo parlato di te.
Dell’amore così bello tra te e Ivan, del tuo dolore così grande, così
irreparabile, definitivo. Ti vogliamo molto bene, faremo di tutto per aiutarti. In questi giorni abbiamo sofferto con te, abbiamo pianto con te, ci siamo disperati con te. Continueremo a farlo. Non vogliamo dimenticare Ivan, non vogliamo che tu dimentichi Ivan, non vogliamo neanche
cancellare questo dolore. Vogliamo viverlo insieme a te, vogliamo piangere con te e ridere con te.
Cara Francesca, Caro Dino, non ho il coraggio neppure di guardarvi negli occhi. Ho paura di guardarvi negli occhi, di rivolgervi la parola. Vorrei che voi non foste così disperati, vorrei che riusciste a
sentirvi addosso tutta la leggerezza di Ivan, la sua ironia, la sua capacità di sdrammatizzare.
Lo so che non è possibile. Sappiate solo che tutti noi del giornale vi siamo infinitamente grati
per averci dato Ivan. Che per noi è stato un enorme privilegio lavorare con lui, giocare con
lui, scherzare con lui, litigare con lui. Gli abbiamo davvero voluto bene, davvero era nostro fratello, come abbiamo scritto cento volte, in questi giorni, su Liberazione. E anche voi, Dino e Francesca siete nostri fratelli, e anche a voi vogliamo bene, e ci piacerebbe parlare con voi, scherzare con voi
litigare con voi.
Ciao Ivan. Non ti preoccupare, la pagina degli animali continueremo a
farla. E pensando a te saremo più ambientalisti di prima, più giornalisti di prima e più anticlericali. Va bene?
Piero Sansonetti
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