“Muore giovane colui che al cielo è caro”: così ha scritto il poeta,
che forse lo ha fatto credendolo o forse solo per mestiere,
consolazione in versi per il sollievo di animi affranti.
Non lo so e comunque, in verità, mi interessa poco. So che ieri, sui
visi di chi dentro e fuori affollava quel tempietto del Verano, ho
visto scolpiti uno sconcerto ed una interdizione strazianti forse più
del dolore assoluto e definitivo che sempre accompagna la morte. Come
a chiedere: e perchè se lui era tanto caro a noi? E perchè se lui
aveva un sacco, ma proprio un sacco, di cose da fare e da dire ancora?
E perchè se chi gli camminava accanto sognava di farle con lui? E
perchè e chi ha condannato a sopravvivergli chi lo ha generato?
Erano dieci anni che non ti vedevo, Ivan, perchè quando tu
ufficialmente entravi nella redazione con le finestre su viale del
Policlinico, io avevo deciso di ufficialmente uscirne. Ma il tempo
insieme lo ricordo bene e bene ricordo tanti piccoli dettagli che di
te, senza forse sospettarlo, avevo conservato in un posto dentro da
cui oggi tornano, lievi a sparsi, a riaffacciarsi. Il tuo sorriso
guascone, il guizzo nella fessura dei tuoi occhi, la timidezza ed il
modo a volte un po’ impacciato di occupare lo spazio, come se le
grandi spalle che ti portavi in giro e su cui sognavano le ragazze
fossero d’intralcio al tuo sentire gentile e fine. E poi ancora le
cene ed il vino, le scampagnate, le partite a poker fino a tardi e lo
scambio di battute da dietro i monitor dei computer che ci separavano
gli sguardi nella stanza degli esteri dove avevo trovato asilo
politico, discriminata in cronaca per il vizio della nicotina.
Un ricordo, Ivan, limpido e sottile, come le cose nell’aria, che in
questi giorni, da quel giorno, mi segue discreto e silenzioso come
un’ombra.
La Rete mi dava notizie di te: del tuo lavoro, dei tuoi viaggi, dei
tuoi traguardi. E pensavo: bravo Ivan che ha utilizzato tenacia e
pazienza, curiosità e passione e ha fatto suo il mestiere che vogliono
fare in tanti perchè “è sempre meglio che lavorare!”. Bravo Ivan che
c’eri riuscito a farlo davvero e, la conquista più grande, a farlo
come dicevi tu.
Non avrei mai immaginato di rincontrarti in un luogo dove arriva chi
non torna, senza ricevere risposta al mio saluto. E non immaginarlo
era così giusto che tutte queste parole, mischiate alle lacrime, al
dolore, alle domande e ai ricordi che si inseguono ora, mi sanno di
sbagliato. Tutto sbagliato.
MC
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